Tuesday, June 16, 2009

FUTURISMO MUSICALE E POETICO DAL GIAPPONE. ISTITUTO GIAPPONESE DI CULTURA A ROMA.

Scoperte di creatività dell’arte futurista in Oriente. Prima esecuzione assoluta europea delle musiche di compositori giapponesi. Stretta collaborazione tra l’Associazione Culturale “MEDITERRANEA - Festival Intercontinentale della Letteratura e delle Arti”, alla sua 6^ edizione, e l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma. Il concerto arricchito dalla lettura di composizioni poetiche di autori che si sono richiamati al movimento futurista di Marinetti del 1909. Attenta ricostruzione storica e presentazione dei compositori e delle opere.
Il 9 giugno 2009, ore 20, presso L’Istituto Giapponese di Cultura di Roma, via Antonio Gramsci, 74.
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di Ettore Mosciàno







Il centenario dalla pubblicazione del primo manifesto futurista a Parigi (1909) ha dato occasione anche all’Istituto Giapponese di Cultura a Roma, al Direttore Kazufumi Takada e alle curatrici del programma Ayami Moriizumi e Yoshiko Takagi, in collaborazione e su proposta di “Mediterranea - Festival Internazionale della Letteratura e delle Arti”, nelle persone di Filippo Bettini Direttore del Festival e Fausto Razzi supervisore delle ricerche artistiche, di far emergere e conoscere qui a Roma una cultura futurista maturata in Giappone dal 1920 in poi.
Il Direttore dell’Istituto Kazufumi Takada ha salutato gli intervenuti facendo loro presente lo stretto e significativo vincolo artistico culturale che l’evento riveste nell’ambito delle relazioni sempre più costruttive tra l’Italia e il Giappone. Culture di radici diverse che in un momento storico si incontrano e si contaminano, con sviluppi di creatività ed esiti che hanno avuto ripercussioni sulle arti dei due paesi e sono ancora oggi contaminanti le attività delle giovani generazioni.
Ci si renderà conto di ciò ascoltando le musiche e le poesie presentate, scorrendo le schede biografiche dei compositori: giovani avventurosi e immersi nello studio che spesso hanno lasciato il loro paese per conoscere altre culture, specializzarsi, comporre, formare gruppi, fondere musica occidentale e quella tradizionale giapponese, suscitando curiosità e polemiche.

Il concerto e il programma. Al pianoforte Satoko Kawabata, con laurea e perfezionamento in Giappone, ricercatrice di nuove espressioni musicali d’avanguardia, capacissima professionista che ha saputo cogliere con abilità le caratteristiche di questi “accenti giuocati” delle musiche futuriste, validissimi brani nel contesto mondiale musicale e nel panorama del contemporaneo, soprattutto. Agilissima e sensibile, l’artista, nella lettura e nel mettere a fuoco con le entrate ed uscite dai ritmi, questa produzione sperimentale musicale di autori giapponesi che hanno guardato con entusiasmo alle arti nuove d’Europa.


Le voci recitanti le poesie di Renkichi HIRATO (1893-1922) e Tai KANBARA (1898-1977) sono state quelle della curatrice del programma dell’Istituto Giapponese di Cultura, Ayami Moriizumi per i testi in giapponese, bravissima significativa interprete recitante per gesto e timbro – possiamo dire – e quella di Laura Valentini nella traduzione italiana; quest'ultima, poetessa lei stessa, disinvolta, con qualità recitative ed interpretative di molta sensibilità e sicurezza.

I canti li abbiamo ascoltati dalla voce del mezzosoprano Erika Misumi: una giovane specializzata all’Università Toho Gakuen che ha anche conseguito il Master dell’Opera Studio della Nikikai. Dal 1993 lei studia in Italia con Fiorenza Cossotto. Diplomata presso il Conservatorio Statale di Torre Franca. Nel 2008 segue a Losanna un programma di studio del Ministero della Cultura giapponese. Ha preso parte a numerose opere liriche e si è specializzata in canti di oratorio.
E' una appassionata voce dal timbro delicato, controllatissima, capace di trarre dai testi sensibilità e sfumature, vocalizzi, soffi, drammaticità e suoni caratterizzati da pathos.

Gli autori musicali presentati:

Giichi Ishikawa (1887-1993) che, giovanissimo, parte per gli Stati Uniti per studiare composizione e pianoforte e, tornato in patria, fonda “l’Associazione dei compositori giapponesi”. La sua produzione musicale è caratterizzata da opere radicali, come la “Rapsodia dei cento dollari” (1932), “Il vortice” (1933) e opere vicino al Dadaismo come “La prima colazione” del 1935 e “Tre cartoline” del 1936.

Noboro Itō (1903-1993) studia trombone e suona nella banda della marina, nelle orchestre di cinema muto e poi nell’orchestra sinfonica del Giappone; studia le nuove tecniche di composizione europee, la multi tonalità di Milhaud e l’atonalità di Schönberg, la microtonalità di Alois Haba e le tecniche di Stravinskij e Satie. Nel 1931 scrive un articolo intitolato “Il paesaggio musicale della città”, sulla rivista “Mondo musica”, in cui chiama “sinfonia futurista” rumori e suoni che scaturiscono dai jazz-caffè, dai negozi e dalla radio, mescolati a quelli delle macchine, biciclette, moto, treni, sandali di legno, grida di venditori. Sono di questo compositore il “Canto al sole”, primo esempio di canto vocalizzato composto in Giappone (1930) e “Dopo il bacio” (1930), dal testo del poeta Rofū Miki (1889-1964), che apre, per le nuove generazioni, temi sentimentali simbolici significativi, mai prima trattati con tanta evidenza.

Tadashi Ōta (1901- ?), autodidatta, studia pianoforte e composizione fino a raggiungere posizioni significative ed entrare nell’attuale Orchestra Sinfonica di Tokio. Ha collaborato con il precedente musicista Noboro Itō come pianista; è stato ricercatore sull’atonalità e sulla microtonalità. La sua opera per due pianoforti “La composizione della città” (1934), formata da dieci pezzi, porta i seguenti significativi titoli, che mostrano l’influenza del Futurismo: “Tubo di scappamento”, “Meccanismo”, “La luce e la sensazione”. Del 1935 è il suo “Segnale di traffico” per pianoforte. Dal 1937 al 1941 è direttore musicale della casa cinematografica Tohō e poi pianista nell’Orchestra Tohō. I suoi “Nuvole” e “Giungla” , presentati in concerto, sono due brani per pianoforte tratti dal “Canto primitivo”. Non si hanno notizie recenti sulla sua attività e sulla sua vita.

Shunsuke Kurashige (1906-2000), laureato presso l’attuale Università di Musica Kunitachi, ha studiato a Parigi ed ha avuto come maestro di composizione Henri Tomasi. Introduce in Giappone le chansons francesi e scrive operette (“Io e te”, “Lo sposo di Mahomenia”). La sua musica ”Lo spartito dell’odio blu” ha come testo una poesia di Joan Tomita e richiama il teatro Noh: un canto con influssi impressionistici francesi adattati alle tonalità della lingua giapponese.

Gorō Ishii (1903-1978), compositore, uno dei quindici membri della “Federazione giapponese dei compositori di nuove tendenze” e della “Lega della musica proletaria”; compone musiche per balletti ed è fondatore del “Gruppo Musica Nuova” assieme a già citato Noboro Itō. Dal settembre del 1937 fino al luglio 1938 è a Parigi e a Berlino per perfezionare lo studio della composizione. Le sue opere per pianoforte “La scultura melanconica”, “Un certo schizzo” sono accostate alle opere di Debussy e di Scriabin; e le cinque opere “Dai ricordi del paese natale” sono frutti dalle ricerche sulle canzoni popolari e ritmi di danze di Akita, da cui trae spunti per numerosi pezzi d’ orchestra e canti recitativi di stile particolare, per solisti. “Il desiderio d’amore”, dal ritmo energico e crescente per esaltare parola e versi e creare uno stato di trascendenza, nasce dalla collaborazione tra Ishii e il poeta e studioso di Buddhismo Tsuneo Nagata, nel 1929.


Il maestro compositore dell'avanguardia musicale giapponese: Töru Takemitsu (1930-1996).




Le avanguardie musicali giapponesi risalgono agli anni ’20 con il maestro Yasuji Kiyose (1900-1981) e Töru Takemitsu (1930-1996), suo allievo; ma, è nel 1975, grazie ad un critico musicale, Kuniharu Akiyama, che vengono riportati alla luce, e fatti conoscere, i nomi e le opere di due artisti-compositori del tutto dimenticati a causa della guerra (la seconda mondiale).


Così, Giichi Ishikawa e Noboru Itō, tornano musicalmente alla sensibilità artistica degli spettatori quando si realizza il Concerto “La musica futurista giapponese dimenticata” (“Wasurerareta Nihon no miraiha ongaku”) al Tokio Bunkakaikan, il 31 gennaio 2000.


In Giappone, il Futurismo fu introdotto da una traduzione del Manifesto del Futurismo effettuata da Ōgai Mori. Questa nuova sfida artistica europea stimolò artisti di varie discipline, i quali erano desiderosi di staccarsi dalle arti ufficiali e tradizionali per trovare nuove identità, soprattutto per ciò che riguardava la pittura e la poesia. Nel 1920 venne fondata l’ “Associazione dell’arte futurista” (”Miraiha bijutsu kyōkai”) da Gyō Fumon (1886-1972), come apprendiamo dalle note consegnateci dall’Istituto Giapponese di Cultura. All’Associazione parteciparono artisti-pittori molto legati alle tecniche tradizionali, tra cui Chikuha Odake (1878-1936); ma è con l’arrivo dell’artista futurista russo David Davidovic Burliuk (1882-1967) che si ebbe in Giappone un notevole sviluppo della poetica futurista.


Tre opere di Chikuha Odake (1878-1936):"The Moisture of the Moon", "The Heat of the Sun", "The Chill of the Stars".(Cliccare sullle immagini per ingrndirle).


Il russo David Davidovich Burliuk (1882-1967) che contribuì significativamente a diffondere la poetica futurista in Giappone; sotto, un suo manifesto sul Futurismo. (Cliccare sulle immagini per ingrandirle).





Il compositore Kōsaku Yamada fu guida alla crescita di altri artisti, come Seiji Togō (1897-1978), il quale ebbe anche occasione di conoscere Marinetti con la sua partecipazione al movimento futurista in Italia nel 1922. Poeti, quali Renkichi Hirato, hanno distribuito nei parchi di Tokio pubblicazioni del primo vero manifesto futurista giapponese.


Il manifesto del Futurismo giapponese di Renkichi Hirato, del 1920; sotto, la traduzione inglese di Miryam Sas. (Cliccare sulle immagini per ingrandirle).





Nel 1925 è stato pubblicato “Studi sul Futurismo”, del poeta-pittore Tai Kanbara, che tuttora costituisce una guida sicura per lo studio del Futurismo in Giappone.


Un quadro del poeta-pittore Tai Kanbara.



E’ accertato che già nel 1913 arrivarono notizie in Giappone, in diversi articoli dei giornali locali, delle musiche dei compositori Pratella e Russolo; e, nel 1921, il poeta-pittore Seiji Togō, a proposito del concerto di Russolo al Theatre des Champs Elysées, scriveva “di una musica coraggiosa che ricerca suoni per mirare ad arrivare all’essenza dell’arte”. “Rumori, non-melodia, né scala, diverso concetto di ritmo, armonia più vicina alla fisica che alla musica”, secondo le analisi del pianista compositore Giichi Ishikawa. I temi nuovi, che influenzavano l’arte futurista, anche in Giappone, riguardavano la modernità: macchine ed energie della città, suoni-rumori della vita quotidiana, ma anche riesame delle tradizioni musicali locali, in cui poter trovare un legame per il nuovo materiale musicale moderno; fenomeno comune a molti paesi ed artisti europei in quel tempo; si pensi alle ricerche etnomusicologiche di Kodàly e Bartok in Ungheria, di Liszt nelle “Rapsodie ungheresi”, al russo Glinka e al “Gruppo russo dei Cinque” (Balakirev, Cui, Musorgskij, Rimskij-Korsakov, Borodin), a Khačaturjan, al boemo B. Smetana, e tanti altri; anche se, costoro, lontani dalle poetiche futuriste, avevano l’intento contrario, quello di ripescare e valorizzare i motivi base della tradizione cultural-musicale per trasferirli nelle nuove “suite” (Le “Danze di Galanta” e “Hàry Jànos” di Kodàly, le danze polovesiane da ” Il principe Igor” di Borodin, “Gayaneh” e “Spartacus” di Khachaturian, “Le danze slave” di Dvorak, le “Rapsodie ungheresi” di Liszt, le czarde in l’ ”Hajre Kati” di Hubay, le “Hungarian Dances” di Johannes Brahms, ecc.).

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